Charlotte Flair vs Bayley VOTO 5.5:
La bellissima Natural Selection eseguita sull'Apron Ring, che ha permesso alla campionessa Charlotte di mantenere la cintura, non maschera una prestazione insufficiente da parte delle due contendenti.
Complice una costruzione del feud claudicante e un minutaggio non troppo generoso, le imprecisioni non sono mancate. Come sovente nei match delle donne nei PPV (a parte alcune eccezioni): un passo mancante per la definitiva consacrazione di una categoria che muove comunque passi da gigante.
Giusto, infine, dare la vittoria alla Flair, visti i limiti palesi da parte di Bayley - che piaccia o no - anche all'interno del quadrato, dove il gap tecnico con alcune colleghe è ancora evidente. Roman Reigns vs Kevin Owens VOTO 7.5:
Il match si lascia guardare, eccome.
Interessante l'alchimia che i due hanno trovato a lungo andare, considerando un inizio non proprio esaltante di rivalità. Prestazione generosa di Reigns, che ha subito bumb considerevoli, come la frog splash subita sul tavolo o il Superman Punch con tirapugni annesso da parte di KO, oltre ai colpi di grazia inflittigli da Strowman.
L'interferenza finale dell'ex Wyatt Family è una trovata necessaria per proteggere Roman Reigns: con buona pace dei fan, un main eventer la cui costruzione è costata quasi quattro anni, ha oramai uno status tale che intaccarlo sarebbe un'autorete imperdonabile.
Peccato, comunque, perché la stipulazione speciale avrebbe potuto consegnarci un Owens vincitore con le sue sole forze. Deludente l'impiego (mancato) di Jericho, ma sia KO che l'ex Shield hanno dato prova di essere giustamente due dei volti principali dello show rosso.
John Cena vs AJ Styles VOTO 8:
Un solido incontro pieno zeppo di storytelling: in verità ce lo aspettavamo, visto che a sfidarsi erano due mostri sacri del wrestling e dell'intrattenimento. Probabilmente era il momento giusto per dare a Cena il sedicesimo titolo massimo, che gli permette di eguagliare Ric Flair.
Un premio alla dedizione che il bostoniano continua a mostrare verso il business e i promo che hanno preceduto la faida sono stati paradigmatici di quanto John significhi per la federazione: non è più indispensabile, ma non ha perso il tocco, diciamo così.
E Styles è l'alterego perfetto, visto il suo background nelle indies eccetera, eccetera. La contesa sul ring è stata ovviamente di alto livello ed è legittimo sperare non sia l'ultima volta che AJ e John condividono il quadrato.
ROYAL RUMBLE MATCH VOTO 4:
E' qui che si consuma il disastro. Nemmeno se l'avesse voluto e cercato, la WWE sarebbe riuscita a tradire così brutalmente le attese dei fan, accorsi in massa a San Antonio e, in buona parte, incollati ai televisori di tutto il mondo per seguire un evento che potenzialmente diverte più di Wrestlemania, negli ultimi anni spesso sacrificato all'altare di star power e marketing.
Il primo macroscopico difetto è l'assenza di un iron man: Chris Jericho, Sami Zayn, Baron Corbin e The Miz hanno occupato il quadrato per un minutaggio eccessivo rispetto a quanto è stato permesso loro di raccontare.
La Rumble di Jericho delude, perché esaltarne la codardia senza uno scopo ne ridimensiona l'importanza. Il secondo difetto è la gestione dei big three. Sapete tutti di chi si parla: Undertaker, Goldberg e Brock Lesnar.
Il primo si è presentato sul ring in una condizione fisica imbarazzante ed è davvero triste dover ammetterlo. E le eliminazioni causate dal becchino sono state un totale disastro: goffe, prive di pathos ed eseguite male, tecnicamente parlando (per quanto poco ci competa il lato tecnico del wrestling).
Eliminato da Roman Reigns, per lui si profila una faida con l'Ariete dello Shield, che - dispiace doppiamente dirlo - attualmente è almeno due spanne sopra Undertaker, e dal punto di vista atletico c'è un gap che in due mesi appena non si può colmare.
La gestione di Goldberg è attualmente la più coerente, ma non manca di difetti: parliamo di un ex wrestler a tutti gli effetti. Un po' come se Javier Zanetti, ancora in forma smagliante, decidesse di rimettere gli scarpini e tornare a giocare nell'Inter.
Il paragone calcistico può aiutare a fare luce sulla vicenda che riguarda Da Man. Il fan può sospendere l'incredulità quanto vuole, ma saprà in cuor suo che la scelta di mandarlo sul ring come numero 28 mal nasconde le difficoltà che Goldberg ha nel sostenere un match che superi i 5 minuti (come se lo squash delle Survivor Series non bastasse...).
Infine, non è esaltante il prologo del suo ritorno a tempo pieno: questioni di promozione di un videogioco che tra circa 7 mesi non sarà più nei pensieri della compagnia. Sarebbe comunque ingeneroso dire che in questo Goldberg non si intravede la passione: i suoi promo sin dal suo ritorno sono stati belli e hanno giustamente compiaciuto i suoi fan, che fanno bene a cantare il suo nome.
Col solo rischio che alla lunga potrebbero rimanere delusi. Veniamo a Brock Lesnar: dei tre big, è l'unico wrestler a tutto tondo. The Beast ha ancora tanto da dare, almeno nel potenziale, e la storia che stanno provando a raccontarci - col bel promo di Heyman del "Yes, but..." - non dispiace.
La storia di una bestia che ha trovato la sua bestia nera e che, come tutti i più grandi, può avere periodi storti. Al momento, paga paradossalmente la sua rivalità con Goldberg, con cui non ha potuto avere ancora uno scontro fisico come si deve.
Tutti sperano che a Wrestlemania ci sia: ma servirà un altro Goldberg. Decisamente. Il terzo difetto è la gestione degli "altri": una marmaglia di atleti buttati dentro soltanto per allungare il brodo e aumentare l'attesa - a un certo punto frustrante - per le tre minestre riscaldate di cui sopra.
Salvo soltanto il capitolo Wyatt Family, con la faida Harper-Wyatt approfondita soltanto perché poi legata al sorprendente finale. Ecco, il finale: la vittoria di Randy Orton è forse il solo pregio di questo main event.
Un premio all'evoluzione coraggiosa da parte di un atleta che negli anni ha dimostrato di essere particolarmente pigro e poco avvezzo alla crescita. E poi è un bel segnale: si premia una delle storie a cui Smackdown Live ha dedicato più tempo.
Da incorniciare, infine, la Spear reversata in RKO, che ha dato a The Viper un meritato trionfo. CONSIDERAZIONI FINALI:
Le premesse erano fin troppo esaltanti perché venisse fuori un evento realmente leggendario.
Il difetto più vero e più grande di questa Royal Rumble è che nessuno se ne ricorderà. Bene o male, le ultime tre edizioni - per quanto controverse - hanno segnato la storia recente della federazione. Questa no: la sensazione che si ha è che presto ce ne dimenticheremo e forse sarà meglio così.
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