Molti fan di vecchia data attribuiscono il calo di qualità della WWE odierna al crollo drastico di violenza imposto dal PG, alla mancanza del sangue e alle stipulazioni più estreme che, quando non sono assenti, sono decisamente ridimensionate rispetto alle battaglie devastanti alle quali ci aveva abituato il passato.
Ma questa è la direzione presa dalla dirigenza che punta all'espansione del suo prodotto, affascinando il pubblico infantile inanzitutto. Non ci sono più le contese e le rivalità di un tempo. Ma è veramente questo il problema di uno show che non entusiasma più come una volta? La risposta è no.
Se anche il livello della violenza si spingesse oltre il consentito dal palinsesto televisivo non avremmo comunque il coinvolgimento di una volta. Per esempio Kevin Owens contro Dean Ambrose, anche se si disputasse in una gabbia e includesse copiosi sanguinamenti, attirerebbe quella fetta di fan che apprezzano le loro qualità, ma terrebbe comunque lontano chi non ha interesse a seguire una contesa simile.
Punto. Sarebbe un incontro più interessante certo, magari sarebbe anche riconosciuto lo sforzo maggiore agli atleti, ma non rivoluzionerebbe nulla. Ecco le gabbie. Le rivalità di una volta sfociavano negli hell in a cell ma solo nel peggiore dei casi, ovvero quando ormai i feud tra superstar divenivano odio puro o lo richiedesse la storyline prolungata e fomentata da rancori profondi; quando veniva annunciato un elimination chamber ci si aspettava automaticamente un incontro emozionalmente forte e che avrebbe senz'altro portato al limite la sopportazione fisica dei contendenti, tra il parecchio sangue versato e la pericolosità della struttura.
Ora non esiste più niente di tutto ciò. Le elimination chamber ormai sono raggruppamenti casuali di superstar messe li a caso per la pigrizia di non creare storyline e main event validi, gli hell in a cell peggio ancora durano cinque minuti scarsi e non offrono più nulla di innovativo nonostante siano stati inseriti in un pay per view a tema che offre spettacolo scadente dalla sua creazione (a parte la buona edizione del 2015).
Insomma, quando arrivavano le gabbie significava sangue, dolore e contese asprissime. E gli hardcore classici alla MIck Foley? Tavoli infuocati e filo spinato? Dimentichiamoceli. Per sempre. Godiamoceli sul Network e facciamoci lacrimare gli occhi per la nostalgia.
La WWE non propone più uno spettacolo per adulti. I tempi sono radicalmente mutati: al giorno d'oggi un match estremo al massimo può sfociare in una strizzatina d'occhio patetica al passato (come l'ampiamente prevedibile volo di Rollins e Ambrose dalla gabbia o le continue e ormai stucchevoli rotture delle scale nei ladder) o finirebbe per essere enfatizzato dal team di commento (imbarazzante) per ingigantire situazioni semplici o cadute leggere.
Di estremo ormai c'è solo il ricordo di chi si è rotto le costole e si è ferito la fronte per mettersi in mostra agli occhi del pubblico pagante, che però se prima rappresentava una nicchia ora è una discreta porzione di umanità.
Eh si, l'espansione è stata fatale per la qualità. Epoche di supereroi, di bimbi che narrano le gesta dei lottatori preferiti, viste in HD sul Network, ai genitori felici. Roman Reigns abbatte il cattivone come Superman.
Una volta quegli stessi genitori sarebbero stati allarmati dalla violenza dello show di cui era stato testimone il figlio attraverso un televisore scadente su un canale disgraziato a malapena a colori. Stone Cold colpisce con una sedia un sanguinante The Rock. Stiamo parlando dello stesso sport?