The Prizewriter - Less is more



by ERNESTO BOSIO

The Prizewriter - Less is more
The Prizewriter - Less is more © AEW Twitter/Fair Use

Salve a tutt@ e benritrovat@ per un nuovo imperdibile editoriale a tema All Elite Wrestling.

L’ultima volta ci eravamo dilungati nel tessere le lodi del prodotto della federazione di Jacksonville. Arrivati alle note dolenti, proprio per il lungo discorso che meritava la più dolente delle quali, ne avevo rimandato la trattazione, ma eccoci ora qua al nocciolo della questione!

Troppa carne al fuoco

Lo si dice da anni ormai, ma con il tempo che passa non si risolve - anzi si aggrava sempre di più - la situazione di caos attorno alla programmazione. Una continua fioritura di nuovi contenuti in acclarata inversità proporzionale con la qualità o l’importanza di essi. 
Prima erano Dark e Dark Elevation, poi Rampage, poi Battle of the Belts; poi la messa in scena della risurrezione ROH, adesso Collision.

Dark in principio era anche di una certa utilità, ed anche intrigante come concetto. Trasmettere quelli che storicamente sono i dark match atti a scaldare le arene, con il ranking tramite il quale sono iniziate le vicende AEW ogni match, anche il più scontato aveva motivo d’essere andando a rimpolpare la score del favorito.
Con il passare del tempo più che palestra per emergere è diventato però palude per sommergere, come quel tappeto sotto il quale abilmente si nasconde la polvere: i bassifondi della programmazione.
Talmente scuro che si è spento.

Cronistoria del superfluo

È arrivato poi in pompa magna Rampage, il programma snello del venerdì. un’oretta di approfondimento a Dynamite che ci poteva proprio stare. L’esordio con l’iconico ritorno del Best in the World, almeno un match imperdibile a puntata. Evoluzione di alcune situazione esclusive, l’apparizione costante dei beniamini del pubblico, o di coloro che nella caotica programmazione del main show del mercoledì non trovano spazio.
Poi è diventato il classico retro della lavagna. Apparirvi è quasi come un declassamento, una punizione.
L’inizio incoraggiante lascia spazio ad un lento declino, fino alla attuale formula nella quale se va bene c’è un match che potrebbe essere presentato a Dynamite, mentre gli altri sono assolutamente quello che aveva portato alla dismissione di Dark.

Aggiungiamo poi Battle Of The Belts, lo "speciale" in onda dopo Rampage nella quale vengono messe in scena difese titolate con avversari di cosi bassa lega e così scontate che non troverebbero cittadinanza neanche in una puntata scialba di Dynamite. 
Come se oltretutto non bastassero le difese che pullulano già negli show settimanali…

ROH: la grande onta

Il più grande specchietto per le allodole è stato invece quello della resurrezione della ROH. Questa senza neanche un contratto televisivo da ormai un anno, e si capisce proprio il perché. Alla stipulazione di ottime card per gli eventi speciali ppv corrisponde una programmazione settimanale che in modo talmente piatto non avevo visto mai nel mondo del wrestling
Semplicemente una lista di incontri inframezzati da promo a livello semi dilettantistico senza video packaging od altro. Nudo e crudo.

Se poi si aggiunge che i campioni ROH spesso non appaiono neanche nei suddetti show, ma difendono negli show della major il gioco è fatto. 
Copia incolla con la parte dell’essere diventato in tempo più che breve semplicemente il nuovo Dark…

Se era davvero intrigante l’idea del farne il nuovo settore di sviluppo AEW, alla NXT, magari proprio Black & Gold, con meno giovani e più wrestler navigati delle indies; ma anche arcobaleno, però con wrestler capaci a differenza di quel che si vede al martedì, questa versione non serve proprio a nessuno ed infanga la memoria di quella grande fucina di talenti senza la quale la AEW probabilmente non esisterebbe.

Lo SmackDown dei poveri

Andiamo poi a Collision. L’inizio aveva fatto strabuzzare gli occhi e ben sperare. Pareva uno show diverso dagli altri programmati da Tony Khan. Solidità e linearità a farla da padrone. Qualche grande match con superstar che erano state eliminate dalla programmazione da tempo, annessi ritorni. Ma poi è venuto meno forse l’unico wrestler al mondo ad oggi - insieme ad MJF, e forse Roman Reigns, se gli apparecchi la tavola - a essere in grado di trainare l’attenzione di uno show dal promo iniziale al main event. Ovviamente stiamo parlando di quel diavolo di CM Punk. E no, non sto alludendo alla storyline del momento. 

Ora invece siamo già quasi arrivati al livello Rampage. Le esclusive ed i ritorni già sono appannati e sgonfi. Tira a campare nelle puntate il relitto della divisione tag, con a capo una coppia di singoli raffazzonata, mentre il resto è mero riempitivo. Vanno di moda le ammucchiate, gente che interviene in faide altrui solo per poter avere il deterrente narrativo per poter portare a main event mappazzoni che è ciò che di più odio della AEW. Nulla più oltre il buon match senza storia. E se non c’è un performer che mi interessa magari neanche recupero quello, non andando a perdere assolutamente nulla della ciccia, che è pur sempre il mercoledì sera..

Un solo comune denominatore, la totale assenza di interesse attorno alla programmazione supplementare.
Per quanto si riconosce che ognuno di questi programmi vede tra le sue fila almeno un buon match, questo spesso è calato nel nulla.

I peggiori incubi di noi fans si sono avverati, in un niente già si è arrivati al declino. I ratings sono vergognosamente bassi ed ok non ci si può basare su quelli nel 2023, epoca di grande streaming, ma ciò non toglie.
Delle 4 ore settimanali supplementari a Dynamite (ok, not enough per fare esibire tutto il parterre) ne basterebbero forse due. Uno show di un’ora fra Rampage E Collision, ed un’oretta di show di sviluppo ROH.

Una serie di sfortunati esempi

A ciò aggiungiamo al troppo ricco menù il classico minestrone del mercoledì. Comunque godibile, unico show nel panorama mainstream che non segna lo zero sull’elettrocardiogramma della vita nell’etere.
Ma troppo contorto, incasinato, confuso.
Portiamo ad esempio l’ultimo main event. Il Qualcosa Like a Dragon Street Fight della puntata sponsorizzata dall’uomo che cancellò la propria testa. Un nome un programma.
Really?

Match 4 vs 4 che dovrebbe concludere una faida, durata mesi, che ha visto brutalizzare a senso unico dalla Don Callis Family i poveri Chris Jericho e Kenny Omega.
Match al quale innecessariamente si aggiungono due che non c’entrano niente. Solo per fare numero (che odio) uno è il totalmente estraneo ai fatti e già appartenete ad altra fazione Brian Cage. L’altro è il totalmente estraneo al potere apparire on screen no more bs (please) Paul Wight.

Il primo dura giusto il tempo di eseguire una Showstopper ed essere schiantato da Hobbes su una macchina. Evitandoci, deo gratia, il tratto a piedi per raggiungere il secondo spot, che Passione di Cristo di Mel Gibson levati.

Il secondo estraneo ai fatti viene schienato andando a regalare il contentino in chiusura ai Golden Jets. Il gol della bandiera dopo averne presi 5.

Non capisco proprio questa necessità, che va ad affossare il grandissimo lavoro di un Callis assente in modo totale. Lui che di solito era l’ago della bilancia. 
Abbiamo una Family in superiorità numerica visto la soppressione del gigante, che perde su tutta la linea, distrutta da chi aveva distrutto. In un nonsense totale che ci getta nello sconforto in quanto fruitori. Fletcher Takeshita e Hobbes che finalmente erano proposti in modo convincente ed interessante e fanno una figuraccia di tale proporzione. 

Tolto questo il match è della Madonna, alcuni spot sono mozzafiato ed il livello di intrattenimento è enorme. Peccato solo sia stato pensato male. Un 3 vs 3 faceva schifo?
Come faceva schifo andare sul lineare ed usare i Bucks e la loro gelosia verso Omega in modo sensato magari con Ibushi, senza andare a scomodare Jericho che con Omega c’entra come i cavoli a merenda?
O magari farli turnare non su Omega in altro indaffarato, ma su Hangman che li ha abbandonanti facendo perdere loro i titoli trios ROH?

Ode e malinconia

Tutto ciò è davvero lo specchio e perfetta allegoria del casino di Dynamite. Se la WWE e la sua programmazione sono sinonimo di calma piatta, ripetitività, scritture al limite del banale a sfociare nella demenzialità, fino al colpo di scena chiamato; qua invece troppo spesso ogni passaggio è super arzigogolato, simil improvvisato, talvolta alla membro canino per esser lievi.

E tutto il bello, lo studiato, l’artistico ogni tanto rischia di perdersi in questo: match che meriterebbero di essere da Dark e pullulano nelle puntate degli show accessori; titoli che contano, già troppi di per se stessi, dimenticati e sommersi in mezzo a quelli ROH difesi nelle puntate AEW; match che se non titolati non si possono indire, e tutti gli altri casini...

Insomma  caro Tony, less è davvero more, qualche volta.