Benvenuti all'episodio pilota della mia nuova rubrica per Worldwrestling.it, che ho chiamato 'End of Days' Il mio intento, seguendo una linea editoriale piuttosto variegata, è di trattare tematiche dell'attualità in WWE.
La compagnia di Stamford, nelle ultime tre settimane, ha offerto tanti spunti, con l'innesto di numerosi lottatori di talento. Il merito è di quella vecchia volpe di Shane McMahon, che ha l'intento dichiarato di dare spazio ai più talentuosi, inaugurando una sorta di taglio netto col passato, caratterizzato dall'eterna faida tra l'Autorithy e l'underdog di turno.
Come aveva detto Sheamus al ritorno dal suo infortunio, con un look e un fare da heel, l'era dell'underdog è al tramonto.
Con un anno di ritardo, si può dare ragione al Celtic Warrior, che in tal senso ci ha visto lungo.
Tutto ciò che Shane sta costruendo va nella direzione opposta, in cui sono i face a rubare la scena e a farne le spese sono proprio gli heel, che non hanno più un supporto dall'alto e devono raggiungere gli obiettivi preposti con le proprie forze.
In questa direzione sembra andare il tentativo di forgiare una generazione di 'cattivi' che si discosti fortemente dall'esemplare di 'Corporate Champion' a cui eravamo, nostro malgrado, abituati.
L'esordio nel main roster di Baron Corbin ci dà un assaggio di quello che la WWE vuole realizzare: un prototipo di 'heel' distruttore, senza sfumature di viltà, che lotta da solo e contro tutti. In futuro, l'arrivo di Samoa Joe nel main roster sarà un'altra lancia spezzata in favore di questa idea.
Un'idea che può funzionare e che dà una ventata d'aria fresca a chi ha avuto a che fare con la stessa storyline per oltre 25 anni. Ma veniamo a ciò che maggiormente mi preme approfondire: dopo tantissimi proclami a vuoto, si può ufficialmente dire che la K.O.
Mania non è mai realmente cominciata. Spesso, Kevin Owens aveva parlato dell'inizio di un'era, che l'avrebbe visto dominare fino a raggiungere i palcoscenici più prestigiosi. Eppure, il 2016 dell'ex NXT non è cominciato nel migliore dei modi.
La sua gestione è stata lunatica e il timore che l'infatuazione temporanea della WWE per lui sia già passata è fondato. L'esordio dell'atleta canadese, con la vittoria su un certo John Cena, è ormai un lontano ricordo.
Al di là del successo sul leader della Cenation, comunque, l'aspetto che più colpiva di quel personaggio era la sua schiettezza, la sua genuinità che lo avvicinava tanto al pubblico. Fight, Owens, Fight.
Questo era il suo motto: combatti. Contro tutto e tutti. "Ho parlato con mio figlio, che come tutti gli altri bambini guarda la WWE e tifa John Cena. E' tutto quello che sapeva dirmi era 'John Cena sta bene?'". La frustrazione dell'uomo medio, che si scontra col Super Uomo, è riassunta in questa frase del canadese, che raccontava come suo figlio fosse cresciuto nel mito di John Cena e non nel suo.
E come il rispetto, la lealtà e l'onestà non fossero che proprie soltanto di chi si è costruito o è stato costruito come un 'Super Hero' indistruttibile, che non cade mai.
La storia di Kevin Owens insegna che nel cadere non c'è nulla di male.
La storia di Kevin è quella di ognuno di noi, nell'imperfezione di essere sempre e comunque sé stessi, senza un fisico scolpito o un aspetto gradevole. Kevin Owens siamo un po' tutti noi. Quando proviamo invidia o scegliamo la via più semplice, beh, noi siamo come lui.
Ed è per questo che fa rabbia il modo in cui questo personaggio sia stato abbandonato a sé stesso, dalla Royal Rumble in poi. K.O. Mania, si diceva, non è mai cominciata. Le ultime due sconfitte di lusso, contro Cesaro e Dean Ambrose, certificano questo calo verticale di Owens, che rischia di essere sacrificato persino per un push dell'acerbo Zayn.
Il mio primo numero di 'End of Days' si chiude qui. Nella speranza di aver offerto spunti di discussione e di non avervi annoiati, ci rivediamo la settimana prossima, con un altro numero della mia rubrica.